Stamani mi sono soffermato sulla notizia relativa all’incremento delle dimissioni volontarie, per capirne la dinamica e le ragioni che induce tanti lavoratori a lasciare il posto di lavoro in un momento così delicato per la nazione.

Toccano la quota di circa 1,6 milioni, le dimissioni registrate nei primi nove mesi del 2022, che producono un incremento del 22% rispetto al 2021 quando ne erano state registrate più di 1,3 milioni.

Le motivazioni possono essere diverse ma personalmente, temo che vi sia un decadimento dei modelli organizzativi, oramai obsoleti e non più al passo con le aspettative dei lavoratori e dei nuovi mercati.

Le imprese dove si sviluppa un benessere lavorativo e qualitativo in Italia sono una piccola minoranza e rappresentano circa il 5% del panorama aziendale, il resto è rappresentato da piccole realtà imprenditoriali dove è raro lo sviluppo di forme di welfare integrativo, la contrattazione aziendale è statica, antimeritocratica e mancante di una gestione che favorisce un sistema trasparente di gratifiche che potrebbero rappresentare lo sprone a fare meglio.

Il settore turistico-alberghiero è tra quelli che soffrono maggiormente di tale incombenza. In aggiunta, non si eroga formazione in un contesto (tra i quali quello della gestione empatica dove una mancanza di interesse e di empatia nell’interlocutore può causare fraintendimenti, tensioni, scarso senso di appartenenza e cali di motivazione) dove la stessa dovrebbe essere obbligata periodicamente oltre al fatto di non generare una forma di conciliazione vita-lavoro.

Da qui s’innescano altresì, cali di crescita economica e professionali!

Probabilmente, le ragioni ancora attuali e relative alla difficoltà di reperire personale alberghiero risiedono anche in questa problematica. Un’insoddisfazione crescente per la manifesta staticità del lavoro in albergo e un malessere causato da una mancanza di valorizzazione lavorativa da parte dell’azienda. 

Una condizione diffusa, acuita tra l’altro dalla recente condizione pandemica che ha segnato di fatto, un attributo apripista per l’indirizzamento verso lavori in smart-working, più flessibili e con orari che concedono al lavoratore più tempo per la famiglia.

Un fenomeno preoccupante per il reperimento di personale, tra i quali possibili talenti, che bisognerebbe risolvere a monte, riformulando il modello produttivo attraverso una riconversione della gestione aziendale, finalmente indirizzata verso il maggior coinvolgimento del lavoratore al quale concedere la giusta valorizzazione quale elemento chiave della gestione aziendale.

Mino Reganato

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