È alquanto fastidioso e imbarazzante ripetere ogni volta il “ritornello” sul ruolo di
estrema importanza che il turismo ricopre quale elemento di valorizzazione socio-
culturale e soprattutto economico del Paese Italia e quindi non dirò nuovamente che tale
rappresenta il 13% del PIL nazionale al quale aggiungere un + 8% di indotto. Asserzioni
che riempiono il petto dell’oratore di turno, nelle circostanze di turno, alla platea di
turno e accendono la “speme” nazionalpopolare di essere un Paese che grazie a fattori
unici (fortunatamente ricevuti in eredità dalla storia) non necessiterebbe di attenzioni,
programmazioni e soprattutto competenze specifiche. Tale mancanza è palesata dalla
perdita di posizioni nel panorama delle destinazioni turistiche mondiali (negli anni 70
eravamo tra i primi posti) pur ostentando un immenso patrimonio monumentale da
associare a condizioni meteo-paesaggistiche uniche.
Detto tutto ciò, non ci resta che evidenziare le “falle” del sistema e cercare di porre
rimedio a una situazione quasi irreversibile.
Utilizzo dei fondi per gli investimenti pubblici volti alla promozione turistica:
partiamo dal presupposto alquanto generalizzato che la spesa pubblica sia comunque ed
in ogni caso, una leva per lo sviluppo economico del settore. Ma siamo poi convinti che le
linee di interventi siano efficaci e diano risultati apprezzabili in termini di ritorno
economico? Chi garantisce che i risultati ottenuti siano apprezzabili e danno luogo a
ritorni in termini di flussi e quindi positivi?
La fase di verifica dei risultati sino ad oggi, è soventemente inficiata da uno scarso
rigore procedurale che scaturisce da presunzioni dell’entità investitrice che non accetta
che qualcuno possa dire di aver speso male le risorse. Lo studio dunque, commissionate
ad aziende che vengono pagate dall’investitore stesso, per ovvie ragioni tenderà a non
“scontentarlo” ed i risultati appariranno in una “magnificenza assoluta” ma non veritieri.
In alcuni casi, i risultati vengono secretati e non resi pubblici proprio per non dare adito
a possibili controlli da entità che magari vorrebbero conoscere i reali risultati. L’attuale
organizzazione per la promozione turistica non potrà mai essere compatibile con un
auspicato ritorno in termini di flussi turistici e quindi economia. Se valutassimo
attentamente la cronistoria della destinazione Italia, ci accorgeremmo che la perdita di
appeal è dovuta soprattutto a una crescita dei Paesi concorrenti in termini di
competitività i quali attraverso operazioni efficaci di marketing e con molto meno
“materiale” a disposizione, hanno sapientemente attratto flussi turistici sui loro territori.
Qui, la mia convinzione che parte degli investimenti dedicati al turismo dovrebbero
invece essere indirizzati ad un potenziamento dei servizi sul territorio, al fine di creare
un contenitore di attività e attrazioni da offrire e non sperperarli in spot pubblicitari
brutti, poveri e banali. È l’esempio della Calabria che nel 2020 ha commissionato un
cortometraggio diretto da Gabriele Muccino e con Raul Bova dove per otto minuti sono
stati “sborsati” la bellezza di 1.663.101,56 euro. Ovvero oltre 200.000 euro al minuto:
un record!
E ancora, il Molise quale Regione che ha speso di più per ottenere in cambio bassissimi
livelli di affluenza verso il territorio. A fronte di un investimento di ben 11 milioni di euro,
le presenze turistiche sono state di appena 183.559 persone. Dividendo, la somma
investita per il numero di presenza, si deduce che il costo che la Regione Molise ha
sostenuto per un singolo turista è stato di ben 63,29 euro.
Competitività dell’offerta:
una condizione che nel mercato odierno rappresenta un elemento da non sottovalutare.
Gli ultimi sondaggi riportano un basso livello di valutazione della qualità dei servizi
raffrontandoli con il prezzo da pagare. Siamo un Paese “caro” (e ovviamente non mi
riferisco a una condizione affettuosa) a fronte di ciò che offriamo. Paghiamo un “gap”
rilevante nei confronti di mete europee nostre competitor dove a parità di prezzi
offriamo servizi peggiori anche a causa di un’annosa condizione che vede l’offerta
territoriale di molti centri turistici non equiparata ai nostri “confinanti continentali”.
Tale situazione è gravata dalla scarsa formazione degli attori del comparto (basti
pensare che l’offerta ricettiva extralberghiera è gestita senza l’obbligo di aver
frequentato almeno un corso di formazione) oltre a una staticità cronica nell’offerta
turistica che in molti casi è “rimasta al palo” e dunque anacronistica con le aspettative
del turista odierno.
Il professor Nicolò Costa, con il quale partecipai a una tavola rotonda sulla crisi nel Lazio
del 2009, nel suo libro “I professionisti dello sviluppo locale” evidenzia una mancanza di
“sintonia socioculturale tra operatori dell’offerta e clienti, perché il mercato turistico è
cambiato in tutte le sue componenti e gli operatori dell’incoming non si sono rinnovati”
che di fatto ha posto le basi per un lento e inesorabile declino che manifesta già da
tempo, i suoi segni.
La soluzione è da ricercare in alcuni fattori da mettere immediatamente in campo:
- Una politica di gestione regionale e locale del turismo composta da entità competenti
e profonde conoscitrici delle dinamiche che sostengano un comparto così importante per
l’economia del Paese con l’obbligo di profili professionali aventi esperienze certificate
nel settore per accedere a cariche istituzionali afferenti al Turismo. - Costituzione di “Consulte permanenti” nel Governo centrale e regionale, con studiosi e
professionisti del settore turistico al fine di tracciare linee d’interventi propedeutiche
alla successiva discussione politica. - Obbligo di formazione per tutti gli attori del comparto con periodici aggiornamenti al
fine di mantenere lo status di professionista del settore. - Revisione degli istituti professionali e tecnici del turismo con il coinvolgimento di
professionisti del turismo (ripristinare la famosa terza area professionalizzante).
Potenziamento delle tematiche relative ai Corsi di Laurea.
Lavoratori nel Turismo:
A seguito della denuncia di Assoturismo di qualche mese fa, circa la mancanza di 300
mila lavoratori nel settore turistico e che di fatto ha messo in ginocchio Hotel, ristoranti
e negozi, si palesa, nella sua irrazionale comparsa dopo due anni di “ferma”, la
catastrofica gestione del mercato del lavoro, erede di una gestione “partitistica” volta a
far mantenere il proprio “status di politicante per mestiere”. Come non far riferimento al
fatidico Reddito di Cittadinanza (fortunatamente al vaglio dell’attuale governo per una
revisione), sulla carta comunque benefico per coloro che “temporaneamente” perdevano
il lavoro ma con una gestione disastrosa per la mancanza di un’entità che avrebbe dovuto
offrire un lavoro confacente al profilo professionale del percipiente. La misura
originariamente era stata pensata non per una condizione assistenzialistica ma orientata
all’inserimento lavorativo del beneficiario. Questa situazione nella sua fosca
interpretazione e per una mancanza di controllo, oltre all’infiltrazione di gruppi
malavitosi ha di fatto indirizzato tante persone a richiedere il RDC. C’è da aggiungere
però che la mancanza di maestranze non è solamente dovuta a tale condizione ma
soprattutto a un carico fiscale che fa rabbrividire. Raffrontando i dati del cuneo fiscale
relativo alle retribuzioni, l’Italia ha un “peso” molto elevato rispetto agli altri Paesi: se
prendessimo in esame un lavoratore single con una retribuzione media (€ 31k lordi
annui), fatta 100 la retribuzione netta: le imposte pesano per il 32% e i contributi carico
lavoratori per un altro 14%; i contributi carico datore pesano per il 61%. Sul netto che
va al lavoratore si aggiunge dunque, il 107% di tasse e contributi. Tale condizione per
ovvie ragioni, tende a favorire e comunque ingiustificatamente, salari prossimi alla soglia
del livello minimo di povertà, contratti atipici e soprattutto tanto “lavoro in nero” con
ovvie mancate entrate per l’erario.
Servono politiche volte a far “pagare a tutti le tasse”, in modo equo al fine di abbassare
l’ingente peso fiscale a carico delle aziende e sensibilizzare le aziende a una gestione
eticamente responsabile (ecco l’importanza della formazione continua, magari per
l’acquisizione di una condizione di garanzia sui mercati di riferimento con tanto di
marchio a cura dello Stato ai più meritevoli). Le tasse in ogni caso, non sono e non
possono essere una soluzione volta a riempire i vuoti delle casse a causa di operazioni di
finto assistenzialismo come succitato. Servirebbe tanto “liberismo” ma con una
componente qualitativa ed etica prima di essere meritocratica, meno assistenzialista e
volta a sensibilizzare l’ambiente con il fare e non solo con l’avere.
Diceva Winston Churchill: “Una nazione che si tassa nella speranza di diventare prospera
è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico”
Ribadendo la potenzialità del comparto turistico per aprire nuove opportunità di lavoro
sia direttamente che all’indotto, abbiamo di contro una previsione avversa sul fronte
della disoccupazione, nel corso del 2023. L’Ufficio studi della Cgia a fronte di
elaborazione dei dati Istat e delle previsioni Prometeia riporta un incremento dei
senzalavoro di circa 63k unità, indicando nelle zone del Centro Sud i territori con
maggior incremento con in ordine: Napoli, Roma, Caserta, Latina, Frosinone, Bari,
Messina, Catania e Siracusa. Il Centro-Sud sarà, appunto, l’area più “colpita”: l’incidenza
della sommatoria dei nuovi disoccupati di Sicilia (+12.735), Lazio (+12.665) e Campania
(+11.054) sarà pari al 58% del totale nazionale. Tutte destinazioni che hanno nel turismo
una centralità di apporti economici (forse la principale)! Con politiche di reinserimento
dei disoccupati nel mondo del lavoro e con un’adeguata e preventiva formazione si
potrebbero creare nuovi posti di lavoro nel settore turistico, non esclusivamente relativi
agli impieghi tradizionali (ristoranti, alberghi, svago) ma grazie alle ultime innovazioni
apportate alla gestione del settore, si sono aperte numerose nuove posizioni che
necessitano di profili professionali, al momento non sufficientemente coperte.
Chiosando quanto succitato, l’ascesa dal baratro nel quale il Paese da qualche tempo è
scivolato è certamente impervia ma con soluzioni adeguate, pragmatiche e soprattutto
animate dal “fare” potremmo uscirne, ridando alla nazione una fiducia persa nei meandri
di visioni imperfette.
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