La Commissione SCUOLA è diretta da Alessandra Raveane.
A causa della situazione indotta dalla pandemia di Covid-19, stiamo assistendo ad uno smantellamento di numerosi settori che fondano questa Repubblica. Uno su tutti però dovrebbe preoccupare, e cioè la scuola. Se da una parte ciò che sta accadendo potrebbe essere considerato come una grande opportunità per ripensare finalmente la scuola, dall’altra preoccupa la fretta con cui invece che istituire dei tavoli di confronto (anche tra istituzioni e studenti!) la preoccupazione principale sembra essere quella di chiudere a doppia mandata l’esperienza formativa degli studenti a confronto tra loro stessi e con il mondo.
Partendo da questo dato di realtà, che emerge in maniera preoccupante dalla lettura dell’ultimo DPCM del 25 ottobre, tale per cui per gli studenti delle scuole secondarie superiori è prevista l’attivazione della didattica a distanza di almeno il 75% dell’orario scolastico, nasce l’urgenza del presente documento.
In particolare per questa categoria di studenti sembra che venga messa da parte la loro necessità di socializzare, di crescere nello sguardo dell’altro, di sentirsi parte di un contesto, di fare gruppo e fare esperienze, positive o negative che siano. Questo impoverimento relazionale non avrà degli esiti benefici sui cittadini di domani, prima di tutto perché li sradica da un contesto appunto comunitario, rendendoli individui e non più esseri sociali, disabituandoli a porsi delle domande collettive.
La didattica a distanza si pone in continuità con il processo di atomizzazione occorso per tutte le mansioni che sono state trasferite online con il conseguente tempo di lavoro dilatato, invasione dei compiti lavorativi nella sfera domestica, emersione di nuove patologie correlate alla vista e all’udito (e non solo!). Se tutto questo per un adulto può essere significato, esplorato, non è detto che lo sia (e per essere più chiari: non lo deve nemmeno essere) per un ragazzo che deve trovare linfa e nutrimento in tutte le esperienze reali della vita. Tra le alternative alla didattica a distanza se ne possono enunciare imprimo luogo due:
uscire proprio dal meccanismo scolastico che ha dimostrato di essere vecchio ed inadeguato e dare dei compiti di realtà ai ragazzi che possano essere svolti in autonomia o in piccoli gruppi in aree aperte oppure in biblioteche e musei (che per fortuna sono stati risparmiati dalla chiusura) e poi tornare in aula per confrontarsi con i docenti circa il prodotto delle loro ricerche;
attivare convenzioni con le aziende per tirocini formativi per gli istituti tecnici in modo tale che gli studenti imparino più velocemente e sotto la guida di lavoratori già esperti, il senso del mestiere, per tornare in aula, se necessario solo per gli step di verifica.
Intanto è bene precisare che per gli insegnanti ci devono essere più sicurezze e garanzie dal punto di vista della tutela del loro lavoro: non deve più accadere che vi siano cattedre scoperte come quello che sta succedendo oggi, nonostante numerosi insegnanti siano pronti ad occuparle ma siano bloccati nelle graduatorie e nel precariato. D’altra parte è bene ripensare anche la figura istituzionale dell’insegnante ripartendo dal percorso di studi che ne assicuri la piena formazione rispetto soprattutto all’area relazionale e alla dimensione pedagogica. Basterebbe, per fare questo:
ripensare il percorso di accesso all’insegnamento e all’assegnazione della cattedra basandolo su esami ricorrenti, affinché la figura dell’insegnante, qualsiasi posto occupi, sia sempre aggiornata, preparata, motivata;
in alcuni Paesi nordici gli insegnanti hanno diritto a congedi annuali della durata di un anno per assistere in qualità di uditori esterni alle lezioni scolastiche di altri Paesi europei, per poter confrontare il proprio metodo di insegnamento con quello di altri e per poter contaminare dunque il proprio sguardo con quello dei colleghi e degli studenti che incontrano. Tornando a casa, questi insegnanti portano con sé un arricchimento multi disciplinare e nuovi spunti per poter interagire ed insegnare ai propri studenti;
uscire dai programmi, vecchi di decenni e mai aggiornati, che sembrano impedire (volendo essere maliziosi) uno guardo più puntuale ed aggiornato sul novecento e sui primi anni duemila: questo vale sicuramente per le materie umanistiche ma anche per quelle scientifiche, proprio nell’ottica di un sistema di istruzione interconnesso e internazionale. Questo significa anche emanciparsi dalle materie monolitiche che hanno costituito le fondamenta del sapere fino ad oggi. Esperienze come scuole ad indirizzo medico o con forti curricula di scienze sociali dovrebbero essere valutate come le strade pionieristiche verso un dialogo più serrato tra il mondo della scuola propriamente detto e quello dell’università e quindi delle professioni;
nello specifico delle lingue straniere, è fondamentale che vengano insegnate da insegnanti madre lingua. Dal punto di vista delle lingue internazionali, sebbene l’inglese si aggiudichi tuttora il primato inteso come lingua di mediazione e comunicazione mondiale, sarebbe utile anche iniziare ad insegnare anche lingue come russo, cinese o arabo non più sotto forma di laboratorio o esperienza extracurricolare ma proprio come parte integrante della didattica quotidiana, per poter essere pronti a rispondere in maniera preparata alle sfide dialettiche della contemporaneità.