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L’Italia è una destinazione che attrae flussi turistici per i motivi risaputi. Un museo a cielo aperto dove l’arte e le vestigia storiche incontrano gastronomia e made in Italy offrendo un contenitore di opportunità vacanziere, unico.

L’elemento attrattore dunque è costituito dall’enorme Heritage (storico, culturale, monumentale) di cui il nostro Paese gode oltre a un’invidiabile posizione geografica al centro del Mediterraneo che crea una condizione meteo unica.

Confrontando questa condizione con altre destinazioni turistiche che hanno flussi in arrivo più importanti e con caratteristiche di gran lunga inferiori, ci si accorge che il livello di appeal del Belpaese ha qualche problema. È inutile ribadirlo, ciò è a conoscenza di tutti gli addetti. Manca una visione organizzativa e dell’offerta che vada incontro alle aspettative del nuovo Ospite e che personalmente ho trovato nelle nuove strategie di Marketing Museale di alcuni musei italiani. Lo scopo del marketing museale è quello di avvicinare l’offerta alle esigenze culturali dei potenziali visitatori, svecchiando il vecchio cliché di una visita statica e rendendola interattiva e avvolgente con tecnologia e storytelling. Ecco, svecchiare e proporre innovazione con competenza, questa potrebbe e dovrebbe essere la soluzione da implementare al vasto parco ricettivo e all’offerta, ancora con gestioni antidiluviane.

Volere è potere.

Personalmente, oltre le ataviche problematiche di totale indifferenza del governo rispetto al turismo, ricordo che questo rappresenta il 13% del PIL nazionale, indotto escluso. Sono stato sempre del parere di fare rete assieme agli attori del “contenitore territoriale” al fine di creare un prodotto tematico unico e non replicabile, proprio per il suo contenuto esclusivo di territorialità, di servizi, di enogastronomia, di “emozioni” . Un prodotto “da consumare” unicamente nel luogo di produzione e non replicabile, costruito da professionisti, i quali ognuno per la propria competenza, apportino un valore aggiunto di spicco.

Noi siamo l’Italia, dove ogni piccolo villaggio ha la sua unicità, il suo “prodotto” da poter offrire.

L’importante che venga fatto da professionisti competenti ed esperti.

Tutti sappiamo quanto potrebbe costare al Brand Destination, un’azione “raffazzonata” nella fase promo-commerciale anche compiuta da un solo attore. Avrebbe un effetto devastante, perdendo di credibilità nell’attento Turista di oggi che boccerebbe immediatamente la destinazione e non l’attore.

Quindi che siano i professionisti a modellare il prodotto, la formazione, la promozione e l’organizzazione. Diamo a loro i mezzi per farlo senza entità di comodo che ostacolino l’operato con azioni maldestre e forse riusciremo a risalire la china di Paese ad alta vocazione turistica.

Mino Reganato

Stamani mi sono soffermato sulla notizia relativa all’incremento delle dimissioni volontarie, per capirne la dinamica e le ragioni che induce tanti lavoratori a lasciare il posto di lavoro in un momento così delicato per la nazione.

Toccano la quota di circa 1,6 milioni, le dimissioni registrate nei primi nove mesi del 2022, che producono un incremento del 22% rispetto al 2021 quando ne erano state registrate più di 1,3 milioni.

Le motivazioni possono essere diverse ma personalmente, temo che vi sia un decadimento dei modelli organizzativi, oramai obsoleti e non più al passo con le aspettative dei lavoratori e dei nuovi mercati.

Le imprese dove si sviluppa un benessere lavorativo e qualitativo in Italia sono una piccola minoranza e rappresentano circa il 5% del panorama aziendale, il resto è rappresentato da piccole realtà imprenditoriali dove è raro lo sviluppo di forme di welfare integrativo, la contrattazione aziendale è statica, antimeritocratica e mancante di una gestione che favorisce un sistema trasparente di gratifiche che potrebbero rappresentare lo sprone a fare meglio.

Il settore turistico-alberghiero è tra quelli che soffrono maggiormente di tale incombenza. In aggiunta, non si eroga formazione in un contesto (tra i quali quello della gestione empatica dove una mancanza di interesse e di empatia nell’interlocutore può causare fraintendimenti, tensioni, scarso senso di appartenenza e cali di motivazione) dove la stessa dovrebbe essere obbligata periodicamente oltre al fatto di non generare una forma di conciliazione vita-lavoro.

Da qui s’innescano altresì, cali di crescita economica e professionali!

Probabilmente, le ragioni ancora attuali e relative alla difficoltà di reperire personale alberghiero risiedono anche in questa problematica. Un’insoddisfazione crescente per la manifesta staticità del lavoro in albergo e un malessere causato da una mancanza di valorizzazione lavorativa da parte dell’azienda. 

Una condizione diffusa, acuita tra l’altro dalla recente condizione pandemica che ha segnato di fatto, un attributo apripista per l’indirizzamento verso lavori in smart-working, più flessibili e con orari che concedono al lavoratore più tempo per la famiglia.

Un fenomeno preoccupante per il reperimento di personale, tra i quali possibili talenti, che bisognerebbe risolvere a monte, riformulando il modello produttivo attraverso una riconversione della gestione aziendale, finalmente indirizzata verso il maggior coinvolgimento del lavoratore al quale concedere la giusta valorizzazione quale elemento chiave della gestione aziendale.

Mino Reganato

È alquanto fastidioso e imbarazzante ripetere ogni volta il “ritornello” sul ruolo di
estrema importanza che il turismo ricopre quale elemento di valorizzazione socio-
culturale e soprattutto economico del Paese Italia e quindi non dirò nuovamente che tale
rappresenta il 13% del PIL nazionale al quale aggiungere un + 8% di indotto. Asserzioni
che riempiono il petto dell’oratore di turno, nelle circostanze di turno, alla platea di
turno e accendono la “speme” nazionalpopolare di essere un Paese che grazie a fattori
unici (fortunatamente ricevuti in eredità dalla storia) non necessiterebbe di attenzioni,
programmazioni e soprattutto competenze specifiche. Tale mancanza è palesata dalla
perdita di posizioni nel panorama delle destinazioni turistiche mondiali (negli anni 70
eravamo tra i primi posti) pur ostentando un immenso patrimonio monumentale da
associare a condizioni meteo-paesaggistiche uniche.
Detto tutto ciò, non ci resta che evidenziare le “falle” del sistema e cercare di porre
rimedio a una situazione quasi irreversibile.
Utilizzo dei fondi per gli investimenti pubblici volti alla promozione turistica:
partiamo dal presupposto alquanto generalizzato che la spesa pubblica sia comunque ed
in ogni caso, una leva per lo sviluppo economico del settore. Ma siamo poi convinti che le
linee di interventi siano efficaci e diano risultati apprezzabili in termini di ritorno
economico? Chi garantisce che i risultati ottenuti siano apprezzabili e danno luogo a
ritorni in termini di flussi e quindi positivi?  
La fase di verifica dei risultati sino ad oggi, è soventemente inficiata da uno scarso
rigore procedurale che scaturisce da presunzioni dell’entità investitrice che non accetta
che qualcuno possa dire di aver speso male le risorse. Lo studio dunque, commissionate
ad aziende che vengono pagate dall’investitore stesso, per ovvie ragioni tenderà a non
“scontentarlo” ed i risultati appariranno in una “magnificenza assoluta” ma non veritieri.
In alcuni casi, i risultati vengono secretati e non resi pubblici proprio per non dare adito
a possibili controlli da entità che magari vorrebbero conoscere i reali risultati. L’attuale
organizzazione per la promozione turistica non potrà mai essere compatibile con un
auspicato ritorno in termini di flussi turistici e quindi economia. Se valutassimo
attentamente la cronistoria della destinazione Italia, ci accorgeremmo che la perdita di
appeal è dovuta soprattutto a una crescita dei Paesi concorrenti in termini di
competitività i quali attraverso operazioni efficaci di marketing e con molto meno

“materiale” a disposizione, hanno sapientemente attratto flussi turistici sui loro territori.
Qui, la mia convinzione che parte degli investimenti dedicati al turismo dovrebbero
invece essere indirizzati ad un potenziamento dei servizi sul territorio, al fine di creare
un contenitore di attività e attrazioni da offrire e non sperperarli in spot pubblicitari
brutti, poveri e banali. È l’esempio della Calabria che nel 2020 ha commissionato un
cortometraggio diretto da Gabriele Muccino e con Raul Bova dove per otto minuti sono
stati “sborsati” la bellezza di 1.663.101,56 euro. Ovvero oltre 200.000 euro al minuto:
un record!
E ancora, il Molise quale Regione che ha speso di più per ottenere in cambio bassissimi
livelli di affluenza verso il territorio. A fronte di un investimento di ben 11 milioni di euro,
le presenze turistiche sono state di appena 183.559 persone. Dividendo, la somma
investita per il numero di presenza, si deduce che il costo che la Regione Molise ha
sostenuto per un singolo turista è stato di ben 63,29 euro.
Competitività dell’offerta:
una condizione che nel mercato odierno rappresenta un elemento da non sottovalutare.
Gli ultimi sondaggi riportano un basso livello di valutazione della qualità dei servizi
raffrontandoli con il prezzo da pagare. Siamo un Paese “caro” (e ovviamente non mi
riferisco a una condizione affettuosa) a fronte di ciò che offriamo. Paghiamo un “gap”
rilevante nei confronti di mete europee nostre competitor dove a parità di prezzi
offriamo servizi peggiori anche a causa di un’annosa condizione che vede l’offerta
territoriale di molti centri turistici non equiparata ai nostri “confinanti continentali”.
Tale situazione è gravata dalla scarsa formazione degli attori del comparto (basti
pensare che l’offerta ricettiva extralberghiera è gestita senza l’obbligo di aver
frequentato almeno un corso di formazione) oltre a una staticità cronica nell’offerta
turistica che in molti casi è “rimasta al palo” e dunque anacronistica con le aspettative
del turista odierno.   
Il professor Nicolò Costa, con il quale partecipai a una tavola rotonda sulla crisi nel Lazio
del 2009, nel suo libro “I professionisti dello sviluppo locale” evidenzia una mancanza di
“sintonia socioculturale tra operatori dell’offerta e clienti, perché il mercato turistico è
cambiato in tutte le sue componenti e gli operatori dell’incoming non si sono rinnovati”
che di fatto ha posto le basi per un lento e inesorabile declino che manifesta già da
tempo, i suoi segni.
La soluzione è da ricercare in alcuni fattori da mettere immediatamente in campo:

  1. Una politica di gestione regionale e locale del turismo composta da entità competenti
    e profonde conoscitrici delle dinamiche che sostengano un comparto così importante per
    l’economia del Paese con l’obbligo di profili professionali aventi esperienze certificate
    nel settore per accedere a cariche istituzionali afferenti al Turismo.   
  2. Costituzione di “Consulte permanenti” nel Governo centrale e regionale, con studiosi e
    professionisti del settore turistico al fine di tracciare linee d’interventi propedeutiche
    alla successiva discussione politica.
  3. Obbligo di formazione per tutti gli attori del comparto con periodici aggiornamenti al
    fine di mantenere lo status di professionista del settore.
  4. Revisione degli istituti professionali e tecnici del turismo con il coinvolgimento di
    professionisti del turismo (ripristinare la famosa terza area professionalizzante).
    Potenziamento delle tematiche relative ai Corsi di Laurea.    
    Lavoratori nel Turismo:
    A seguito della denuncia di Assoturismo di qualche mese fa, circa la mancanza di 300
    mila lavoratori nel settore turistico e che di fatto ha messo in ginocchio Hotel, ristoranti
    e negozi, si palesa, nella sua irrazionale comparsa dopo due anni di “ferma”, la
    catastrofica gestione del mercato del lavoro, erede di una gestione “partitistica” volta a
    far mantenere il proprio “status di politicante per mestiere”. Come non far riferimento al
    fatidico Reddito di Cittadinanza (fortunatamente al vaglio dell’attuale governo per una
    revisione), sulla carta comunque benefico per coloro che “temporaneamente” perdevano
    il lavoro ma con una gestione disastrosa per la mancanza di un’entità che avrebbe dovuto
    offrire un lavoro confacente al profilo professionale del percipiente. La misura
    originariamente era stata pensata non per una condizione assistenzialistica ma orientata
    all’inserimento lavorativo del beneficiario. Questa situazione nella sua fosca
    interpretazione e per una mancanza di controllo, oltre all’infiltrazione di gruppi
    malavitosi ha di fatto indirizzato tante persone a richiedere il RDC. C’è da aggiungere
    però che la mancanza di maestranze non è solamente dovuta a tale condizione ma
    soprattutto a un carico fiscale che fa rabbrividire. Raffrontando i dati del cuneo fiscale
    relativo alle retribuzioni, l’Italia ha un “peso” molto elevato rispetto agli altri Paesi: se
    prendessimo in esame un lavoratore single con una retribuzione media (€ 31k lordi
    annui), fatta 100 la retribuzione netta: le imposte pesano per il 32% e i contributi carico
    lavoratori per un altro 14%; i contributi carico datore pesano per il 61%. Sul netto che
    va al lavoratore si aggiunge dunque, il 107% di tasse e contributi. Tale condizione per

ovvie ragioni, tende a favorire e comunque ingiustificatamente, salari prossimi alla soglia
del livello minimo di povertà, contratti atipici e soprattutto tanto “lavoro in nero” con
ovvie mancate entrate per l’erario.
Servono politiche volte a far “pagare a tutti le tasse”, in modo equo al fine di abbassare
l’ingente peso fiscale a carico delle aziende e sensibilizzare le aziende a una gestione
eticamente responsabile (ecco l’importanza della formazione continua, magari per
l’acquisizione di una condizione di garanzia sui mercati di riferimento con tanto di
marchio a cura dello Stato ai più meritevoli). Le tasse in ogni caso, non sono e non
possono essere una soluzione volta a riempire i vuoti delle casse a causa di operazioni di
finto assistenzialismo come succitato. Servirebbe tanto “liberismo” ma con una
componente qualitativa ed etica prima di essere meritocratica, meno assistenzialista e
volta a sensibilizzare l’ambiente con il fare e non solo con l’avere.
Diceva Winston Churchill: “Una nazione che si tassa nella speranza di diventare prospera
è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico”
Ribadendo la potenzialità del comparto turistico per aprire nuove opportunità di lavoro
sia direttamente che all’indotto, abbiamo di contro una previsione avversa sul fronte
della disoccupazione, nel corso del 2023. L’Ufficio studi della Cgia a fronte di
elaborazione dei dati Istat e delle previsioni Prometeia riporta un incremento dei
senzalavoro di circa 63k unità, indicando nelle zone del Centro Sud i territori con
maggior incremento con in ordine: Napoli, Roma, Caserta, Latina, Frosinone, Bari,
Messina, Catania e Siracusa. Il Centro-Sud sarà, appunto, l’area più “colpita”: l’incidenza
della sommatoria dei nuovi disoccupati di Sicilia (+12.735), Lazio (+12.665) e Campania
(+11.054) sarà pari al 58% del totale nazionale. Tutte destinazioni che hanno nel turismo
una centralità di apporti economici (forse la principale)! Con politiche di reinserimento
dei disoccupati nel mondo del lavoro e con un’adeguata e preventiva formazione si
potrebbero creare nuovi posti di lavoro nel settore turistico, non esclusivamente relativi
agli impieghi tradizionali (ristoranti, alberghi, svago) ma grazie alle ultime innovazioni
apportate alla gestione del settore, si sono aperte numerose nuove posizioni che
necessitano di profili professionali, al momento non sufficientemente coperte.
Chiosando quanto succitato, l’ascesa dal baratro nel quale il Paese da qualche tempo è
scivolato è certamente impervia ma con soluzioni adeguate, pragmatiche e soprattutto
animate dal “fare” potremmo uscirne, ridando alla nazione una fiducia persa nei meandri
di visioni imperfette.

No, non è una frase a tinte catastrofiche ma una conseguenza alle tante esortazioni rimaste irresponsabilmente inascoltate da chi non ha mai dato il giusto valore al comparto turistico. E alla fine, tanto tuonò che piovve! 

È alquanto fastidioso e imbarazzante ripetere ogni volta la “tiritera” sul ruolo di estrema importanza che il turismo ricopre quale elemento di valorizzazione socio-culturale e soprattutto economico del Paese Italia e quindi non dirò nuovamente che tale rappresenta il 13% del PIL nazionale al quale aggiungere un + 8% di indotto. Asserzioni che riempiono il petto dell’oratore di turno, nelle circostanze di turno, alla platea di turno e accendono la “speme” nazionalpopolare di essere un Paese che grazie a fattori unici (fortunatamente ricevuti in eredità dalla storia) non necessita di attenzioni, programmazioni e soprattutto competenze specifiche. Tale mancanza è palesata dalla perdita di posizioni nel panorama delle destinazioni turistiche mondiali (negli anni 70 eravamo al primo posto) pur ostentando un immenso patrimonio monumentale da associare a condizioni meteo-paesaggistiche uniche.

Detto tutto ciò, non ci resta che evidenziare le “falle” del sistema e cercare di porre rimedio a una situazione quasi irreversibile.

Utilizzo dei fondi per gli investimenti pubblici volti alla promozione turistica:

partiamo dal presupposto alquanto generalizzato che la spesa pubblica sia comunque ed in ogni caso, una leva per lo sviluppo economico del settore. Ma siamo poi convinti che le linee di interventi siano efficaci e diano risultati apprezzabili in termini di ritorno economico? Chi garantisce che i risultati ottenuti siano apprezzabili e danno luogo a ritorni in termini di flussi e quindi positivi? 

La fase di verifica dei risultati è purtroppo inficiata il più delle volte, da scarso rigore procedurale che scaturisce da presunzioni dell’entità investitrice che non accetta che qualcuno possa dire di aver speso male le risorse. Lo studio dunque, commissionate ad aziende che vengono pagate dall’investitore stesso, per ovvie ragioni tenderà a non “scontentarlo” ed i risultati appariranno in una “magnificenza assoluta” ma non veritieri. In alcuni casi, i risultati vengono secretati e non resi pubblici proprio per non dare adito a possibili controlli da entità che magari vorrebbero conoscere i reali risultati. L’attuale organizzazione per la promozione turistica non potrà mai essere compatibile con un auspicato ritorno in termini di flussi turistici e quindi economia. Se valutassimo attentamente la cronistoria della destinazione Italia, ci accorgeremmo che la perdita di appeal è dovuta soprattutto a una crescita dei Paesi concorrenti in termini di competitività i quali attraverso operazioni efficaci di marketing e con molto meno “materiale” a disposizione, hanno sapientemente attratto flussi turistici sui loro territori. Qui, la mia convinzione che parte degli investimenti dedicati al turismo dovrebbero invece essere dirottati per potenziare i servizi sul territorio e creare un contenitore di attività e attrazioni da offrire e non sperperarli in spot pubblicitari brutti, poveri e banali. È l’esempio della Calabria che nel 2020 ha commissionato un cortometraggio diretto da Gabriele Muccino e con Raul Bova dove per otto minuti sono stati “sborsati” la bellezza di 1.663.101,56 euro. Ovvero oltre 200.000 euro al minuto: un record!

E ancora, il Molise quale Regione che ha speso di più per ottenere in cambio bassissimi livelli di affluenza verso il territorio.

A fronte di un investimento di ben 11 milioni di euro, le presenze turistiche sono state di appena 183.559 persone. Dividendo, la somma investita per il numero di presenza, si deduce che il costo che la Regione Molise ha sostenuto per un singolo turista è stato di ben 63,29 euro.

Competitività dell’offerta:

una condizione che nel mercato odierno rappresenta un elemento da non sottovalutare. Gli ultimi sondaggi riportano un basso livello di valutazione della qualità dei servizi raffrontandoli con il prezzo da pagare. Siamo un Paese “caro” (e ovviamente non mi riferisco a una condizione affettuosa) a fronte di ciò che offriamo. Paghiamo un “gap” rilevante nei confronti di mete europee nostre competitor dove a parità di prezzi offriamo servizi peggiori anche a causa di un’annosa condizione che vede l’offerta territoriale di molti centri turistici non equiparata ai nostri “confinanti continentali”. Tale situazione è gravata dalla scarsa formazione degli attori del comparto (basti pensare che l’offerta ricettiva extralberghiera è gestita senza l’obbligo di aver frequentato almeno un corso di formazione) oltre a una staticità cronica nell’offerta turistica che in molti casi è “rimasta al palo” e dunque anacronistica con le aspettative del turista odierno.  

Il professor Nicolò Costa, con il quale partecipai a una tavola rotonda sulla crisi nel Lazio del 2009, nel suo libro “I professionisti dello sviluppo locale” evidenzia una mancanza di “sintonia socioculturale tra operatori dell’offerta e clienti, perché il mercato turistico è cambiato in tutte le sue componenti e gli operatori dell’incoming non si sono rinnovati” che di fatto ha posto le basi per un lento e inesorabile declino che manifesta già da tempo, i suoi segni.

La soluzione è da ricercare in alcuni fattori da mettere immediatamente in campo:

1.           Una politica di gestione regionale e locale del turismo composta da entità competenti e profonde conoscitrici delle dinamiche che alimentano un comparto coì importante per l’economia del Paese con l’obbligo di profili professionali con esperienze certificate nel settore per accedere a cariche istituzionali afferenti al Turismo.  

2.           Costituzione di “Consulte permanenti” nel Governo, con studiosi e professionisti del settore turistico al fine di tracciare linee d’interventi propedeutiche alla successiva discussione politica.

3.           Obbligo di formazione per tutti gli attori del comparto con periodici aggiornamenti al fine di mantenere lo status di professionista del settore.

4.           Revisione degli istituti professionali e tecnici del turismo con il coinvolgimento di professionisti del turismo (ripristinare la famosa terza area professionalizzante). Potenziamento delle tematiche relative ai Corsi di Laurea.   

Lavoratori nel Turismo:

A seguito della denuncia di Assoturismo circa la mancanza di 300 mila lavoratori nel settore turistico che di fatto mette in ginocchio Hotel, ristoranti e negozi si palesa, nella sua irrazionale comparsa dopo due anni di “ferma”, la catastrofica gestione del mercato del lavoro, erede di una gestione “partitistica” volta a mantenere il proprio “status di politicante per mestiere”. Come non far riferimento al fatidico Reddito di Cittadinanza, sulla carta comunque benefico per coloro che “temporaneamente” perdevano il lavoro ma con una gestione successiva disastrosa per la mancanza di un’entità che avrebbe dovuto offrire un lavoro confacente al profilo professionale del percipiente e a fronte di un diniego, togliere l’indennità. La misura originariamente era stata pensata non per una condizione assistenzialistica ma orientata all’inserimento lavorativo del beneficiario. Questa situazione nella sua fosca interpretazione e per una mancanza di controllo, oltre all’infiltrazione di gruppi malavitosi ha di fatto indirizzato tante persone a richiedere il RDC. C’è da aggiungere però che la mancanza di maestranze non è solamente dovuta a tale condizione ma soprattutto a un carico fiscale che fa rabbrividire. Raffrontando i dati del cuneo fiscale relativo alle retribuzioni, l’Italia ha un “peso” molto elevato rispetto agli altri Paesi: se prendessimo in esame un lavoratore single con una retribuzione media (€ 31k lordi annui), fatta 100 la retribuzione netta: le imposte pesano per il 32% e i contributi carico lavoratori per un altro 14%; i contributi carico datore pesano per il 61%. Sul netto che va al lavoratore si aggiunge dunque, il 107% di tasse e contributi. Tale condizione per ovvie ragioni, tende a favorire e comunque ingiustificatamente, salari prossimi alla soglia del livello minimo di povertà, contratti atipici e soprattutto tanto “lavoro in nero” con ovvie mancate entrate per l’erario.

Servono politiche volte a far “pagare a tutti le tasse”, in modo equo al fine di abbassare l’ingente peso fiscale a carico delle aziende e sensibilizzare le aziende a una gestione eticamente responsabile (ecco l’importanza della formazione continua, magari per l’acquisizione di una condizione di garanzia sui mercati di riferimento con tanto di marchio a cura dello Stato).

Le tasse in ogni caso, non sono e non possono essere una soluzione volta a riempire i vuoti delle casse a causa di operazioni di finto assistenzialismo come succitato. Servirebbe tanto “liberismo” ma con una componente qualitativa ed etica prima di essere meritocratica, meno assistenzialista e volta a sensibilizzare l’ambiente con il fare e non solo con l’avere. Ciò è l’essenza di uno dei punti più importanti del nostro Partito.

Diceva Winston Churchill: “Una nazione che si tassa nella speranza di diventare prospera è come un uomo in piedi in un secchio che cerca di sollevarsi tirando il manico”

Mino Reganato

“non è un addio ma un arrivederci”. Per motivi personali e professionali, Antonio Gigliotti, ha rassegnato le proprie dimissioni da Segretario Nazionale Più- Partite Iva Unite. “Preferisco lasciare spazio, a chi, rispetto a me, ha più tempo da dedicare, nuovi impegni professionali mi portano, con tristezza, a dover operare questa scelta, ma ci sarò, forse, molto più di prima”. Più ringrazia Antonio Gigliotti per ciò che ha fatto e per il suo immenso contributo, anche se, come da lui più volte confermato, con un ruolo diverso, continuerà a condividere con tutti NOI un percorso di idee, proposte, soluzioni, iniziative per il bene del nostro Paese e di tutte le categorie produttive, vessate per anni da governi inadatti ed inadeguati. Si apre così una fase che porterà la nostra organizzazione ad una nuova fase politica e congressuale.

La Storia insegna. Nella vittoria e nella sconfitta. Nello sport come nella vita.
 
La vittoria ti rende grande. Indubbiamente. Incide il tuo nome nella Storia. Ma e’ il modo in cui affronti la sconfitta che ti rende veramente un signore. E ieri abbiamo assistito -per l’ennesima volta ma comunque fedele alla loro tradizione- ad atteggiamenti da esseri piccoli piccoli. Sì, ominicchi. I fischi durante l’inno italiano, il calpestare il tricolore fuori dallo stadio, il pestare il tifoso avversario, per concludere con lo spettacolo indegno dei giocatori che disertano la premiazione dei vincitori e sfilano in un nano secondo la medaglia dal collo dei secondi arrivati. Neanche fosse la peste, ma solo perché intrisa della loro peggiore invidia. Ed incapacità di dare valore anche alla sconfitta.
 
E tutto questo dopo essersi inginocchiati ad inizio partita. Ma solo sulla loro innata ipocrisia. Quella sì famosa in tutto il mondo, da meritare la medaglia d’oro.
 
Potete anche vantarvi del vostro English “style” (l’eufemismo e’ d’obbligo), delle vostre impolverate etichette dettate nei secoli dai vostri sovrani, per i quali sarete solo dei poveri sudditi. Schiavi delle loro anacronistiche stupidità. Ma il passo di rimanere non distanti da quei barbari incivili che conobbe e conquistò Giulio Cesare prima e l’imperatore Claudio dopo, e’ veramente breve.
La Storia non dimentica. Ed insegna.
 
God save Italy. E gli Italiani: un popolo con mille difetti ma di certo più signore. E che troppo spesso dimentica con colposa facilità, daltonico come e’ nel vedere l’erba del proprio vicino sempre più verde.
 
Fermiamoci ogni tanto ad ammirare, con orgoglio, quel verde che brilla nel nostro tricolore. E da quelle radici solide troveremo la forza di volare. Ancora.
 
Grazie, Italia.
 
 
 

Dott.ssa Daniela Manno
Presidente Nazionale PIÙ

 

 
Dal Corriere della Sera: Timbravano, poi andavano a correre o a fare la spesa: Palermo, scovati 28 “furbetti” del cartellino.
 
“Ora, a parte che, ahi noi, una storia simile non fa più notizia, mi spiegate perché -ed avviene spesso- colui che ha una partita iva viene associato ad un evasore seriale a prescindere -con tanto di risatina per sottolinearlo- e chi “corre o va a fare la spesa” mentre avrebbe dovuto occuparsi di altro, per cui è pagato dalla collettività, è un furbetto?
 
Non lo è! Per quanto mi riguarda è un LADRO. Punto.
Ed anche della peggiore specie.”
 

Dott.ssa Daniela Manno
Presidente Nazionale PIÙ

 

Il 26 marzo è stato pubblicata una ricerca di Lancet sui dati di 7,3 milioni di studenti che sostiene che non c’è correlazione significativa tra diffusione dei contagi e lezioni in presenza.

Sempre il 26 marzo il Tar del Lazio con due pronunce dispone che siano riviste le norme in tema di scuola perché carenti di istruttoria e prive di sufficienti dati scientifici a supporto.

Il tribunale ha richiesto alla presidenza del Consiglio dei ministri di “riesaminare le misure impugnate adottando, all’esito del riesame, un provvedimento specificamente motivato” e ha ritenuto congruo “assegnare come termine il 2 aprile 2021”.

Nel frattempo il Presidente del Consiglio Draghi ha dichiarato che si tornerà in classe anche in zona rossa dopo Pasqua, per tutti gli alunni fino alla prima media.

Ora a seguito di questi recentissimi eventi e a seguito delle diverse manifestazioni a cui stiamo assistendo, non da ultime quelle avvenute anche nella giornata di ieri 28 marzo, mi piacerebbe riflettere solo su alcune considerazioni.

  • Quale differenza c’è tra i bambini della prima media e quelli di seconda e terza? Perchè questi ultimi NON possono tornare a scuola dopo Pasqua? Siccome tutto si basa su evidenze scientifiche, come cittadino, esigo che mi vengano mostrate quelle evidenze scientifiche che dimostrino che i bambini in questa fascia di età sono focolai del virus……..o forse devo malignamente pensare che, siccome il bonus babysitter viene erogato solo fino all’età di 14 anni, rimandandone una parte a scuola in presenza si riduce drasticamente la platea degli aventi diritto?
  • Quale scuse dovremo ancora raccontare ai nostri ragazzi delle scuole superiori ed università che sono chiusi in casa ormai da 1 anno, quando ormai è più che risaputo che il problema non sono loro, ma ciò che circonda il loro movimento, in primis i trasporti?
  • Che scusanti avremo quando, nel nostro totale immobilismo, tra qualche anno si renderà noto che la “colpa” non era loro, ma molti di loro hanno subito importanti conseguenze?
  • Come giustifichiamo i gruppi di persone che nel weekend e non solo, fanno gite nei parchi e parchetti, mentre le scuole continuano ad essere chiuse?
  • Ed infine………in primis come genitori e poi come cittadini, quanti di voi accettano di lasciare che ai propri figli vengano “tarpate le ali” senza provare ad avere elementi sicuri che portino a questo? Come si può accettare di subire che il nostro futuro, ossia i nostri figli, sia completamente chiuso in 4 mura senza la libertà di conoscere, apprendere, crescere e vivere?

Riflettete………è il momento di riflettere, comprendere ed agire per difendere e tutelare la libertà di vivere.

Alessandra Raveane

Segretario Regione Lombardia PIU’ Partite IVA Unite